Presentation of Enzo Consoli's novel: "Scarpe di Camoscio"
(Suede Shoes)
Thursday, February 3rd 2005
Libreria Odradek, via dei Banchi Vecchi 57, Roma - (Thursday 2005 - 3 - February at 6 pm) |
Andrea Frezza | .. | Regista & sceneggiatore di cinema |
Tonino Scaroni | Critico teatrale | |
On. Venerio Cattani e signora | Deputato, giornalista e scrittore | |
Giuseppe Ferrara | Regista cinematografico | |
Franco Michetti | Editore della Onyx edizioni | |
Rosa Mugellini | Direttrice della rivista "Salute Europa" |
Ho conosciuto Enzo Consoli come attore, poi come regista di un suo testo teatrale: "Igloo". Testo che ho molto apprezzato con la regia di Herve Ducroux in tutta la sua bellezza ed importanza. Nella
narrativa come in questo "Scarpe di camoscio", ho potuto
apprezzare lo stile, le riflessioni a caldo, lo spessore dei personaggi e
l'originalità nello scolpirli. Nel renderli visibili attraverso il loro
dialogare. Ma
l’aspetto più affascinante ed inedito di questi personaggi non è
quando parlano, ma quando pensano e nell'essere descritti l'autore li giudica.
Ciò
che è da mettere a fuoco è un particolare di estrema importanza:
questo romanzo guarda, come accadeva quando esisteva la grande
letteratura e il grande cinema in Italia, all'insieme di quanto ci
accade intorno, al paese in cui viviamo, alla sua storia, alla crescita
o regressione della sua gente. Contrariamente a quanto ci accade sempre
più spesso di assistere oggi con gli autori moderni che non si stancano
di raccontarci il mondo visto attraverso il loro ombelico.
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Scarpe di camoscio ci racconta la nascita di quella che sarà la società civile, dopo la seconda guerra mondiale. Anticipa il sessantotto, nei suoi conflitti politici, specie tra destra e sinistra. Attraverso la provincia questo romanzo ci rivela quel che sta per accadere in quegli anni nel nostro paese. Dal boom economico ai conflitti sociali. I personaggi cercano nuove dimensioni, altri sbocchi rispetto agli schemi del passato, nuove realtà per identificare la propria identità.
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E' un romanzo che mi ha colpito profondamente, in quanto rappresenta una porzione di esistenza, la mia nel senso della mia generazione. Molti sono i segni che ho potuto rilevare in questo romanzo. I luoghi, il caffè Di Marca ad esempio. La pasticceria in realtà dei genitori di un regista teatrale (Pippo di Marca) appunto, che ricorda perfettamente Enzo Consoli nella sua esperienza di attore. Oltre che il senso di ribellione, la serietà allo stesso tempo nell'affrontare l'incognita del proprio destino, da parte di quei giovani catanesi che si identificavano nel gruppo. Tra loro coetanei, in quanto i genitori, e già quelli avanti di una generazione, rappresentavano il passato e quindi l'impossibilità di creare confronto. Mi ha stupito la sincerità di questi ragazzi che si accingono ad affrontare una esistenza del tutto nuova, come fossero stati dei sopravvissuti ad una catastrofe. Ed in un certo senso, lo erano. IL senso del sacrificio da parte della ragazza che per emancipare se stessa ma sopratutto per trovarsi, si brucia rinunciando all'amore per non rimanere prigioniera del proprio ambiente nella sua città. Forse il riferimento al virus da lei contratto (HIV) precede i tempi... (Qui interviene Consoli, dicendo che nel romanzo non si parla di virus specifici ma che dalla fine degli anni cinquanta in Africa già si moriva di quel virus poi scoperto negli anni ottanta) Palladini continua parlando del finale del romanzo. Cioè dell'evoluzione-involuzione di alcuni dei personaggi e del sacrificio del giornalista Pippo Famà (che lui come altri identificano nel giornalista catanese Pippo Fava, ucciso dalla mafia)
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