Alcuni pareri su "Scarpe di camoscio"

Andrea Frezza Regista di cinema

 

 

Caro Enzo, 

ho letto il tuo romanzo in 10 ore con un senso di partecipazione e infine di commozione che non provavo da moltissimi anni leggendo romanzi italiani. Ho trovato la nostra disperazione di ragazzi degli anni sessanta, il senso doloroso della vita, la ricerca spesso pericolosa della verità e l'opportunismo arrampichino dei tanti Nitto Baldo (Pippo Baudo?) che abbiamo incrociato sulla nostra pista di nomadi dell'esistenza. Si potrebbe dire che tu racconti nella scia dei grandi tuoi concittadini da Verga a De Roberto a Vitaliano Brancati, soprattutto Brancati, ma io trovo qualcosa di molto più universale, una strana parentela con Saul Bellow e Philip Roth che fa del tuo romanzo parte della grande biografia di una generazione. Grazie d'averlo scritto e grazie d'avermi dato la gioia di leggerlo anche se la gioia s'è accompagnata alla melanconia.

 

Un abbraccio,

                                                                                      Andrea Frezza

 

 
 

 

 

 

Marco Leto

Regista di cinema

 

 

Caro Enzo,  

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hai scritto un bel libro. Mi ha fatto fare tardi ieri sera come non mi succedeva da tempo.

Mi hai sorpreso - ancora una volta, lo confesso - dopo la prima sorpresa accaduta con la visione del tuo “Igloo” a teatro. Soprattutto per la parte più inedita, quella più esplicitamente narrativa non sorretta da un dialogo, (che sapevo un’arma matura e sapiente in tuo possesso), piena di osservazioni, riflessioni, affermazioni molto spesso illuminanti. In “Igloo” c’era già qualcosa di più di chi aveva appreso leggi e meccanismi, ed anche artifici teatrali. M’era sfuggito alla prima rappresentazione, forse anche per mia superficiale disattenzione, la profondità dei contenuti; me li ha resi evidenti il tuo regista francese, qualche anno dopo. (...)

Ma l’aspetto più affascinante ed inedito dei tuoi personaggi non è quando parlano, ma quando pensano e tu li descrivi e li giudichi. Di “riflessioni da fare” ce ne sarebbero molte altre, a dimostrazione della validità del tuo lavoro. Ma io mi fermo qui.  

 

Marco Leto

 

 

 
Elio Giunta Critico e scrittore - Esponente Premio letterario Mondello.

 

Caro Consoli,

 

    finalmente posso ringraziare adeguatamente per il suo “Scarpe di camoscio”. Ho potuto terminare la lettura proprio oggi e scrivo subito per congratularmi. L’opera è vivace già come concezione formale e riesce effettivamente a rappresentare (“rappresentare” anche in senso scenico) una realtà sociale: nella fitta serie d’incontri e con i linguaggi di una borghesia giovanile, bullesca, sta tutta una umanità rivelatrice di illusioni, disillusioni, sconfitte.

La lettura (...)  man mano si fa attraente per merito dello svilupparsi delle storie dei singoli che possono costituire addirittura romanzi a sé, disposti a incastro, e che danno tributo all’ironico, al grottesco, al drammatico, con affondi psicologici considerevoli. E quando le diverse presenze con i loro accadimenti compongono il mosaico della nostra sicula realtà, di ieri come di oggi, la narrazione raggiunge, sottile ma toccante, la sapienza del messaggio.

Credo che il libro meriti attenzione e l’avrebbe meritata anche da parte di un’editoria più di grido, se non altro per ricevere una stampa con caratteri non così minuti.

Purtroppo le  faccende editoriali navigano nel mistero!

Spero avere occasione di leggere sue cose, di sentirla o d’incontrarla. Mi dispiace non sia successo a Palermo. Questa città è dispersiva e, per quanto riguarda la cultura, mi riesce persino difficile definirla.

 

Con un caro saluto,

                                                                                        Elio Giunta

 

 

 

 
Aurelio Pes Presidente Beni Culturali Reg. Sicilia, scrittore e critico letterario. 

Quando mi viene proposto di presentare un romanzo contemporaneo, sudo freddo. Oggi si scrivono un'infinità di libri, molti dei quali sono inutili. E come dire tutto questo all'autore di un romanzo, per non ferirlo anche in rispetto dello sforzo che ha dovuto fare per scriverlo? Vi giuro che non è facile. Sopratutto quando da dire rimane poco.  

Con Scarpe di camoscio invece, dopo una ventina di pagine, mi sono rassicurato. Ho capito che da dire c'erano molte cose. Innanzitutto che mi trovavo di fronte ad uno scrittore vero, uno scrittore che pur nella sua modernità e in un certo senso, trasgressività, si riallaccia alla tradizione dei grandi scrittori siciliani. Potremmo dire che ne continua l'opera. 

All'inizio infatti Consoli mi ha fatto pensare a Brancati, come se l'autore avesse ripreso a raccontare la dove Brancati si era fermato. Poi ho trovato che i contenuti e lo stile narrativo di Consoli si allontanava dal suo predecessore, verso un'autonomia stilistica. Infatti le frasi spezzate, il soggetto isolato tra due punti, l'asciuttezza della frase e sopratutto il dialogo dove davvero ho trovato sfumature di autentica maestria, rendono la lettura scorrevole, stimolante e sopratutto piena di ritmo. 

Insomma, questo romanzo mi ha entusiasmato davvero. Complimenti all'autore che ringrazio di aver scritto.

 

Aurelio Pes  

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Antonio Di Grado

 

Professore Università di Catania

 

Questo romanzo catanese di un catanese si inserisce nella tradizione de "I Viceré" di De Roberto e dell'opera di Brancati raccontando "quello che Brancati non poteva dirci, non perché Consoli ambienta il romanzo nel '60 e Brancati moriva a Torino nel '54. Piuttosto perché l’immagine di Catania che appare nel volume di Consoli è più  vera rispetto alla Catania di Brancati, odorosa di gelsomini e di zagara, pacifica e indolente, in quel vento di pudore elegiaco, in quella nostalgia che gli ispirò la sua favola bella. In Consoli, ai "galli" di Brancati, personaggi indolenti che passeggiano per via Etnea, fra Lorenti e Caviezel e che vagheggiano un'idea assolutamente irreale smaterializzata disputando sui Massimi Sistemi, si contrappone la  ricerca impetuosa di giovani che corrono verso il nuovo, inciampano nella rete della mafia. Così, alla Catania di luce di Brancati si contrappone il grigio ed il buio di Consoli che accompagna l’ansia dei giovani ora politicanti e ribelli, ora rivoluzionari e conservatori, ora anarchici e perdenti. 

Antonino Di Grado